Mi sembra chiaro! Rappresenta ciò che la politica persegue, già da tempo, nel nostro Paese! Se si preferisce, perché più chiaro, capovolgo il concetto: l'Aquila poteva essere ciò che la politica non vuole si realizzi nel nostro Paese! Si, poi l'Aquila sono anche numeri: a 19 mesi dal sisma, due terzi della popolazione si è dovuta "arrangiare" oppure è ancora "assistita"; un terzo ha ricevuto un alloggio in una città dormitorio che già mostra i primi segni di deterioramento, realizzata senza alcun equilibrio sociale ed urbanistico ed edificata su un territorio "naturale" che, tra qualche anno, sapremo essere stato stravolto per sempre e in modo irreversibile; ancora, più di 700 studenti mancano all'appello nei nuovi istituti scolastici realizzati, il che significa che tante famiglie "giovani" hanno abbandonato l'Aquila; la città, quella "storica", è ancora un agglomerato di edifici pericolanti o crollati, sbarrata ai cittadini e presidiata da esercito e polizia.

I tanti "numeri" del terremoto sono come un dito accusatore puntato contro un Governo che ha speculato su una tragedia, spacciando per "miracolo" ciò che era dovuto; sono la prova del fallimento, per incapacità, di una certa politica; sono la mancanza di fondi per la ricostruzione, nonostante le promesse; sono le nomine di commissari, sub commissari e vice-commissario che non portano a nulla; sono le difficoltà dell’Università; sono le preoccupazioni dei giovani; sono un'economia distrutta. Ma c'è dell'altro che emerge dalle macerie del terremoto, più nascosto e molto più infido!
Il dopo-terremoto aquilano, superata la prima fase di emergenza, ha visto molti comuni cittadini cercare un "confronto" sia con i responsabili della "protezione civile" incaricati di affrontare la fase emergenziale sia, scomparsa questa, con quelli degli Enti locali coinvolti nell'opera di ricostruzione vera e propria. Chi ha seguito costantemente la storia dei Comuni colpiti dal sisma, dopo quel 6 aprile 2009, ha assistito alla nascita di un numero considerevole di "associazioni" e di "movimenti", composti da semplici cittadini ma anche da "tecnici" specializzati, che chiedevano di collaborare con le Istituzioni, desiderosi di contribuire al "progetto" di ricostruzione post-terremoto.
La stragrande maggioranza si proponeva senza significato di appartenenza partitica e, tutte, pur riconoscendo l'importanza delle tante competenze ed energie che dall’esterno della città sarebbero potute intervenire, consideravano sia un diritto sia un dovere essere artefici del proprio destino futuro, rifiutando qualsiasi intervento piovuto dall’alto oppure ideato e realizzato esclusivamente da competenze e manovalanze esterne. La più nota, quanto meno per le critiche vigliacche cui fu oggetto, è il movimento così detto "popolo delle carriole". Ma ve ne sono molte altre. Bene! Come è andata a finire? Appunto, con le critiche vigliacche! E anche, non bisogna dimenticarlo, con qualche manganellata.
Associazioni e comitati, nel migliore dei casi sono rimasti inascoltati, quando non criticati aspramente, montando verso gli stessi campagne diffamatorie e contrastando con qualsiasi mezzo le occasioni di aggregazione e confronto della cittadinanza. Inoltre, si è cercato di creare il "vuoto" intorno alle stesse, complici la rassegnazione ed il disinteresse "atavico" di tanti cittadini. I media, infine, se nell'immediatezza della tragedia offrirono il volgare spettacolo della ricerca del macabro e della sollecitazione dell'emozione, dopo ignorarono, a volte complici del potere politico, di seguire la storia del post-terremoto. Aver militarizzato le città, ha completato l'opera di isolamento, perseguita fin dall'inizio.
La vita degli aquilani è ferma a quel 6 aprile del 2009. Il giorno prima c'era la casa, il lavoro, gli affetti, le amicizie, il teatro, il cinema, un centro storico dove incontrare gli amici, le vetrine dei negozi da guardare durante la passeggiata, le chiese... il giorno dopo, nulla di tutto questo. Oggi, problemi che si sono moltiplicati ed ingigantiti. A leggere ciò che i media non dicono, si scopre che la qualità della vita è desolante. Manca la città, intesa come luogo di appartenenza e convivenza civile.
La cittadinanza, intesa come complesso di cittadini, è dispersa in un vasto territorio, tra alloggi di "fortuna" e agglomerati di realtà ghettizzanti, distanti gli uni dagli altri, impossibilitati a coltivare rapporti umani. Il Comune de' l'Aquila, non ha più neanche la tenda che fino a poco tempo fa veniva usata per le riunioni della cittadinanza, per favorire i confronti di idee, per salvare la socializzazione. E' stata smonata in fretta e furia ed il Comune, alla richiesta dei cittadini, ha risposto che la tenda dovevano procurarsela, autofinanziandosi.
A me, sembra chiaro il motivo di tutto ciò: i cittadini devono star "tranquilli", va impedito loro di esercitare il diritto di rivendicare una vita decente, di essere informati e, soprattutto, di chiedere chiarezza e trasparenza su ciò che si sta decidendo sulle loro teste, partecipando attivamente alla ricostruzione della loro città e del loro futuro.
Questo è l'aspetto meno apparente del terremoto de' l'Aquila, cui accennavo all'inizio. Rivela ciò che di più nascosto ed infido persegue l'attuale politica: tenere lontano il cittadino comune dalla gestione della "cosa pubblica", mantenerlo costantemente all'oscuro di ciò che fa il "vertice", manovrarlo a proprio piacimento e disporne solamente quando "serve". Gli aquilani, non sanno cosa viene deciso del loro futuro ma, soprattutto, non sanno se il loro futuro diventerà realtà tra 5, 10, 100 anni!
Hanno rubato il loro futuro. Ma non sono solamente gli "aquilani" le vittime! A l'Aquila, il "mezzo" per perseguire i propri scopi, la politica l'ha trovato nel terremoto! Nel resto del Paese, sta usando altri "mezzi" ma il risultato è lo stesso. Pensate, per esempio, al continuo procrastinare l'età pensionabile! Oppure, costringere vasti strati sociali a vivere nella precarietà! Ci stanno rubando il "futuro" e nessuno sembra preoccuparsene... nonostante l'Aquila!