Continuo la mia riflessione, iniziata sul finire dello scorso anno. Dopo un primo post, nel quale ho elencato una serie di statistiche che analizzano il fenomeno "immigrati" nell'ultimo decennio ed un secondo in cui ho accennato alle "paure" degli italiani, approfondisco quest'ultima riflessione: la sensazione di paura (nella fattispecie per lo straniero) che in un precedente post ho affermato non dovrebbe essere sottovalutata, è principalmente una questione di percezione. L'insicurezza che ne consegue, inoltre, pone dei limiti sia economici sia sociali e, purtroppo, una politica sviluppata sulla potenza simbolica della paura, a lungo andare presenterà dei costi sociali sempre meno gestibili. Quindi, la paura va individuata e compresa, al fine di poterla sconfiggere... anche con un'attenta politica di gestione dei flussi migratori e dell'integrazione che ne consegue.
Sono tanti i fattori di "insicurezza" che ci assalgono: a quelli che fino ad un recente passato costituivano il nostro bagaglio quotidiano di difficoltà, se ne sono rapidamente aggiunti altri, specifici dell'epoca che viviamo e che riguardano le grandi questioni globali come l'emergenza climatica, il crollo dei mercati finanziari mondiali, il terrorismo, le pandemie e.... l'immigrazione.
La solidarietà esercitata all'interno di un "nucleo" sociale ben definito, strutturato e limitato nello spazio, di cui si conoscevano le origini ed i confini, si condividevano la cultura e le tradizioni, oggi deve essere allargata a dismisura, investendo più contesti sociali e culturali e confini sempre meno definiti. Tutto questo, senza un'adeguata "preparazione". Chi rimane ancorato al piccolo nucleo, vuoi per insufficienza culturale vuoi per incapacità oggettiva ad affrontare l'espansione dello stesso, dimostra quel fastidio generato dalla non comprensione e dall'incapacità ad adattarsi, con la paura che spesso si trasforma in paranoia.
Chi governa dovrebbe farsi carico di questi limiti, investendo risorse ed energie per la diffusione, nelle scuole principalmente ma anche nella società civile, di una "cultura" mirata alla conoscenza dei fenomeni in corso a livello globale, alle loro caratteristiche peculiari, ai vantaggi che gli stessi apportano alla nostra società ed anche agli svantaggi causati da una gestione non sufficientemente adeguata degli stessi. Per la questione "immigrati" vale lo stesso discorso e solamente una buona gestione dell'integrazione "nostra" e dell'integrazione "loro" potrà sanare i mali di cui oggi soffriamo. Si, anche della nostra "integrazione" perché sempre più spesso siamo completamente "fuori" da quei fenomeni globali che avvengono e regolano la nostra vita, migrazioni comprese. Semplicemente, li ignoriamo salvo poi subirne le conseguenze.
A quelle sopra descritte che si possono definire "percezioni personali", se ne aggiungono altre che vengono dall'esterno e che inducono chi le riceve a determinati comportamenti. Principale responsabile dell'ampliamento delle percezioni è chi detiene ed esercita la capacità della rappresentazione: i media. Non c'è dubbio che sulla paura e sulla percezione di vivere insicuri, oggi agisca molto la "visibilità" crescente degli immigrati, attraverso i media.
I media, hanno raggiunto una potenza iconografica tale da essersi trasformati in "pianerottolo di condominio", dove le notizie si scambiano velocemente ed il colpevole oppure la vittima sono quelli del palazzo accanto. I media, oggi ti portano direttamente sulla scena di un delitto, nel teatro di una guerra, ti mettono in contatto diretto con gli episodi che avvengono, te li portano in casa. Se gli stessi succedono a qualche isolato da casa tua oppure a centinaia o migliaia di chilometri dalla stessa, non fa differenza.
Quando questi messaggi sono trasmessi da una "cronaca" troppo affrettata e superficiale, senza un'apposito filtro che ne consenta la corretta interpretazione, può capitare che chi riceva il messaggio si "immedesimi" nell'evento, esaltando quelle paure già insite nell'essere umano e pensando che solo per una coincidenza non era, per esempio, al posto della vittima di un atto criminale. Se poi quella cronaca è intenzionalmente "superficiale" oppure vuole, sempre intenzionalmente, aumentare la "visibilità" di un determinato fenomeno, le conseguenze sono facilmente immaginabili.
Oggi, l'espressione "straniero uguale criminale" è la più diffusa. Eppure, a leggere i dati dell'Osservatorio di Pavia Demos Unipolis, su uno studio sulla "sicurezza in Italia e significato tra immagine e realtà" (http://www.demos.it/2008/pdf/sicurezza_italia_2008.pdf) si scopre che "l'andamento del numero delle notizie sulla criminalità, manifesta nel periodo 2005-2008 un trend crescente e nel 2007 si assiste ad una vera e propria esplosione di notizie relative ad atti criminali.... Realtà e notiziabilità si muovono in modo autonomo.... All'esplosione dell'attenzione mediatica nel 2007 corrisponde una diminuzione, seppur lieve, del numero dei reati... Inoltre, se consideriamo le indagini demoscopiche, vediamo come al diminuire dei reati ed al contemporaneo crescere delle notizie sulla criminalità, la percezione dell'opinione pubblica segua il dato mediatico e non quello reale".
E' chiaro, quindi, che una buona politica, unitamente alla gestione dell'immigrazione si debba far carico di questo aspetto del fenomeno che solo per non disperdere il discorso non affronterò in questo post. Comunque, come ho spesso ripetuto, sulla nostra "informazione" deve essere svolto un approfondito dibattito politico con conseguenti ed adeguati interventi per eliminare, definitivamente, alcune "particolarità" che non garantiscono nè la pluralità della stessa nè l'indipendenza. Inoltre, riqualificare la professionalità del giornalista, secondo me non sarebbe cosa sbagliata!!
Nella visione poliedrica delle paure che gli italiani nutrono verso gli stranieri intervengono ancora altri fattori, per nulla marginali. Parte del conflitto si sviluppa a causa delle differenze che gli immigrati ci propongono, dalle loro abitudini quotidiane avvertite con fastidio dai nostri sensi, fino alle loro forme di "separatezza" in enclave, mercatini e ristoranti etnici. Altro motivo di paura, nasce dalla sensazione di una crescente competizione per l'accesso a servizi pubblici quali la casa, gli asili nido o gli ospedali, la cui fruibilità appare ridotta; c'è chi pensa che a causa dell'immigrazione si provochi un crescente degrado del territorio determinato da sporcizia, inciviltà, incuria; ancora, c'è chi teme in modo particolare gli "islamici" che vorrebbero imporci il loro ordine.
Tuttavia, seppur molteplici, i motivi di conflitto sono da ricondurre a poche e specifiche responsabilità: la mancanza di una politica di gestione dell'integrazione e la sempre meno presente sostenibilità del nostro "sistema di protezione sociale". La "politica della sicurezza", serve anche a nascondere queste gravi lacune, in particolar modo il "sostegno sociale". Poniamoci questa domanda: immaginando per un attimo di non avere più quei 5 milioni di stranieri nel nostro Paese, avremmo più asili nido a disposizione? Avremmo più posti letto disponibili nei nostri ospedali? Il Servizio Sanitario Nazionale sarebbe in grado di sostenere ed aiutare quei circa 600.000 nostri concittadini che oggi devono rivolgersi ad una "badante" per avere assistenza a domicilio? Le aule scolastiche sarebbero meno affollate? Le "case popolari" ci sarebbero? Le carceri, sarebbero meno piene? I cumuli di immondizia che caratterizzano il paesaggio di alcune nostre città, sparirebbero? Il degrado del nostro territorio che spesso causa vittime per frane, allagamenti e disastri naturali simili, cesserebbe?
Ancora: la mancanza di una politica di gestione dell'immigrazione, incoraggia tutti quei sistemi di sfruttamento che favoriscono l'illegalità nel nostro paese. Quest'ultima, non è solamente "criminalità" ma anche lavoro nero, affitti in nero, bagarinaggio dei servizi, sfruttamento, caporalato... che trovano consenzienti gli "stranieri" più per opportunità che per convinzione e che trasmette agli stessi un messaggio peraltro molto chiaro: la società ospitante vive "fuori legge" e, pertanto, è una pratica che conviene!!
Siamo talmente presi dalle nostre "paure" da non pensare che tutte queste forme di sfruttamento danneggiano il nostro mercato del lavoro, il sistema fiscale contributivo, la competitività delle imprese, contribuendo a formare, invece, quella ricchezzetta sommersa che non crea benessere per il Paese (PIL) ma va ad arricchire ben altri soggetti.
Il sistema illegale in cui viviamo e che non contrastiamo con un'efficace politica delle migrazioni e dell'integrazione, condiziona pesantemente i flussi migratori irregolari perché è dagli stessi che trae vantaggio. L'economia sommersa concorre al ribasso dei diritti ed aggredisce la nostra economia, danneggiandola. Combattere l'immigrazione irregolare, prendendosela con gli immigrati e senza stroncare l'economia sommersa, è solamente una perdita di tempo che non produrrà alcun beneficio. (continua)